Alessandro Longo, oggi di AGOSTINO ZINO
Alessandro Longo è ancora ricordato nel mondo della musica principalmente per i suoi contributi alla didattica del pianoforte, nonché per la sua edizione delle opere complete per daviceinbalo di Domenico Scarlatti in dieci volumi, pubblicata a Milano tra il 1906 e il 1910 e tuttora apprezzata dagli studiosi e dagli Specialisti, anche se "superata" da edizioni critiche più recenti e aggiornate sul piano metodologico. Alessandro Longo in realtà rappresenta l'ideale del musicista completo: compositore, didatta, esecutore, teorico, saggista e studioso. In tal senso egli ha anticipato quella che dovrebbe essere, secondo noi, la figura del vero musicista tradizionale inteso come figura animata da un puro istinto e da mere capacità tecniche (tranne ovviamente le molte eccezioni che la storia ci ha tramandato) e dall'altra una coscienza critica, storica e teorica dell'arte che professa, la musica, intesa come fatto squisitamente culturale inserito in un contesto storico ampio e articolato. Di conseguenza, sembra quantomai urgente approfondire tutti gli aspetti, da quelli biografici a quelli artistico-compositivi, a quelli storico-critici. Sarebbe difatti estremamente interessante approfondire i suoi rapporti e le sue frequentazioni, oltre che con i musicisti del suo tempo, anche con gli artisti, gli intellettuali e i letterati in particolare quelli vissuti in quell'ambiente napoletano in cui egli si trovò a operare. Sarebbe anche interessante capire in che modo egli, che era un insegnante di pianoforte e non certamente una figura di grande spicco in quanto compositore potè tuttavia avere un ruolo importante nella formazione di compositori quali Franco Alfano, Guido Laccetti e Paolo Denza. A tal fine bisognerebbe esaminare in modo più approfondito le sue numerose composizioni. Ma fu probabilmente proprio per la sua dimensione di musicista-intellettuale che egli riuscì ad avere una funzione propulsiva nella vita musicale napo1etana e anche italiana del suo tempo e oltre.
Alessandro Longo di GIORGIO FEROLETO
Alessandro Longo è sicuramente un artista che occupa un posto importante nella storia della musica italiana.Uno tra i musicisti di primissimo piano che operarono a Napoli tra la fine del 19° e l'inizio del 20° secolo, e che contribuì con slancio, passione e competenza professionale alla rinascita della musica strumentale.Una figura di altissimo valore culturale, che servi la Musica con una profonda umiltà ma anche con tutta la determinazione del suo ingegno e della sua creatività.Senz'altro uno dei musicisti più colti del suo tempo, e lo dimostra la sua versatilità, impegnandosi in diversi settori dell'attività culturale. Fu, difatti, un attento commentatore e critico musicale; un sottile e vivace scrittore il quale nel gennaio del 1914 fondò e diresse per 12 anni la rivista musicale "L'Arte Pianistica" e successivamente "Vita Musicale Italiana", lasciata poi alla direzione del figlio Achille; inoltre, si cimentò nello scrivere versi e compose "Symphonia", un poemetto di 21 canti, d'imitazione dantesca, nel quale descrive un suo viaggio nell'aldilà e dove incontra i grandi della musica.Un artista completo quindi, protagonista attivo della vita musicale e culturale di quel periodo.Per questi motivi "Amantea Musica", che opera nella città che gli ha dato i natali non poteva non inserire, nell'ambito della propria attività, una programmazione volta a valorizzare ed a diffondere il pensiero e l'opera del musicista calabrese; anche perché non si può certo dire che la Calabria abbia rivolto molta attenzione verso Alessandro Longo, che pure, oltre ad esservi nato, aveva con la nostra terra profonde radici, tornandovi frequentemente fino al 1945, anno della sua morte.In questo senso, "Amantea Musica" sta cercando di recuperare una mancanza della cultura musicale calabrese, che nonostante i suoi tre Conservatori di Musica e le tante strutture musicali, fino ad oggi, non ha saputo ricordare degnamente la figura del grande musicista. Il compito che ci siamo prefissi è quello di far diventare la città di Amantea un punto di riferimento insostituibile, per quanti sono interessati alla vita ed alla produzione del musicista...N.d.r. Da più anni l'associazione ha avviato un lavoro di studio, ricerca e documentazione, attraverso una serie di importanti iniziative, tra le quali ricordiamo, per la sua grande importanza per chi rivolge i suoi interessi culturali "anche" alla musica, la costituzione di una biblioteca-museo, ubicata in Largo Vittorio Emanuele n0 7, dove sono e saranno raccolte le opere musicali, gli Scritti e i lavori letterari, la raccolta completa delle riviste "L'arte Pianistica" e "Vita Musicale Italiana", una serie di libri e articoli che testimoniano l'attività di Longo; inoltre, lettere, documenti, foto e oggetti personali del maestro.
Arte e tecnica nel pensiero di A. Longo di ANTONELLA BARBAROSSA
Serva d'inizio la citazione fatta da E Boccaccini nel libro "L'arte di suonare il pianoforte": 'Il chiaro compositore (Longo) con limpido stile e musicale dottrina, leggiadramente armonizza gli aridi movimenti e li unisce con naturalissimi legami. Alla semplicità di essi accoppia tutto lo svolgimento meccanico di cui sono capaci le dita determinandone con sicurezza i modi...."Qui non mi interessa valutare il superamento dell'arte compositiva nell'anibito del sistema Clemementiano, ma invece richiamare l'attenzione sul meccanismo fondamentale mediante il quale A. Longo estende un metodo di suonare che non si restringe ai bisogni di pochi. Un fatto, innanzitutto, appare certo; e cioè che la collocazione del "modo legato e del modo staccato" ha a che fare con la capacità di Longo di proporre idee nuove e porsi come continuatore di tradizioni consolidate. E' questo un tratto che caratterizza la ricerca complessiva di Longo, compreso quel suo avvicinamento all'opera di Scarlatti in cui rinnova la questione del carattere storico dell'arte, mostrando i limiti di certe impostazioni e riuscendo a dar prova di una tecnica adeguata al segno. All'epoca di Longo, corrono tempi felicemente operosi, direi, per la tecnica pianistica, ricchi di pubblicazioni autorevoli: il metodo di Beniamino Cesi, il manuale del pianista di Mastrigli oppure il pianoforte di Angeleri e tanti altri ancora. Sappiamo tutti, peraltro, delle questioni portate alla ribalta, questioni emergenti da tutti i suoi fronti: dalla scuola dassica alle teorie meccaniche, e del ruolo onnipresente e trasversale che continua a giocare l'interrogativo circa il modo di ottenere un agile movimento delle dita. Non potendo occuparci del quadro di argomenti nel suo complesso, mi sia concesso soffermarmi su un problema che lo stesso Longo pose a base della sua didattica. Parliamo, dunque, di articolazione e legato. Egli sosteneva che una buona qualità di esecuzione si ottiene con un buon legato. La maniera di legare è data non dall'immobilità delle dita, nè dal fatto che siano ripiegate su se stesse, ma da un movimento di articolazione. Per cui occorre: 1) che le dita siano indipendenti - 2) la mano deve essere immobile, poichè il saltellamento della mano provoca grandissimo pregiudizio all'esecuzione di un brano. In verità se la mano salta è assai difficile che vi sia perfetta fusione dei suoni- 3) morbidezza e flessibilità nella fascia degli arti inferiori dei metacarpi. A conferma di questo ultimo argomento riportiamo le parole di Moscheles - Egli dice: "Il pianista deve essere talmente sicuro delle sue dita, da poter, con la gravità sola e con la semplice pressione delle loro estremità, produrre tutti i coloriti e tutte le gradazioni del suono "dal più dolce sino al più forte". Ora da tutto questo è a sufficienza provato che, senza tatto, senza l'articolazione libera e l'abito alle buone digitazioni, e, senza quei sistemi che risalgono a Bach, giammai si perverràà a ben legare melodie su accordi, le fughe e le doppie note".
Mi sia ora concesso di tentarne uno specimen per l'arte d'oggi.
Queste forme di meccanismi hanno una volontà unificante, qualsiasi sia il referente eletto a oggetto d'analisi e di studio, con la grammatica come oggi per noi si configura? Forse si, poichè lo stile dassico, non potendo rimanere chiuso in una classicità di altri tempi, non manca di adattarsi alle esigenze della modernità.Essenza dell'arte di Clementi, padre della scuola italiana, fu appunto il libero svolgimento dei vari aspetti dell'arte; e così pure per coloro che, compreso Longo, continuarono l'opera di sviluppo tecnico. Naturalmente Longo non muove da un oggettivismo ingenuo; egli tiene conto della portata della soggettività nel processo irterpretativo e configura allo stesso tempo un orizzonte pratico di direttive per l'agire conc:reto.Il privilegio dell'uno o dell'altro dei due poli dipende dall'influsso esercitato dall'interprete sul testo. E dopo aver trattato con molto acume di tutti gli aspetti tecnici, nei quali si richiede tutta l'arte del pianista, rimette all'esperienza dell'insegnante di adoperare, al momento opportuno, la vasta gamma di articolazione per mirare l'intenzione del compositore. E' proprio quest'ultimo universo (la didattica) che ha perduto la consistenza della realtà, forse perchè, alle soglie del duemila, vale quella verità che fu caposaldo nella pedagogia agostiniana - "L'imparare è un muoversi verso il lume interiore perchè solo la ragione è l'unica e vera maestra". Stando così le cose il discepolo non riceve nulla dal maestro perchè la verità è già nella sua mente. Rimarrà, comunque quel potenziamento delle istanze tecniche-dogmatiche, in cui si esaltano i valori di una tecnica ben organizzata aperta alla dinamica della vita del pensiero.
La musica di Alessandro Longo di Giuseppe Maiorca
Una analisi della musica pianistica di Alessandro Longo non è stata ancora affrontata dagli studiosi; in parte, ciò è dovuto alla difficoltà di reperibilità delle partiture del musicista di Amantea, che vennero pubblicate in gran parte ma che non furono più ristampate, per cui se ne trova qualche esemplare solo nelle biblioteche dei conservatori di tradizione e negli archivi privati. A ciò bisogna aggiungere che la produzione del Maestro per il pianoforte è smisurata, e un impegno analitico deve necessariamente tener conto dei molteplici aspetti di un'opera che si presenta poliedrica e differenziata. Dagli studi pianistici destinati all'infanzia, sino a giungere al corpus delle sette Sonate, ci troviamo di fronte ad un autore che trattò in maniera varia, e difficilmente riconducibile ad uno schema semplicistico, ogni forma musicale. Infine, ma di ciò qui si accennerà solamente, la sospettosa prevenzione del musicologo del Novecento verso tutto ciò che, pur appartenendo al secolo delle scuole di Vienna e di Darmstadt, abbia sapore di Romanticismo, ingiustificatamente ha relegato sotto l'etichetta di "minore" molte produzioni di qualità eccellente, tra le quali spicca quella di Alessandro Longo. Nel trattare brevemente questa materia, partirò proprio dal romanticismo della musica del Maestro, che costituisce certamente una delle sue caratteristiche salienti. Immediatamente, però, mi imbatto nella prima contraddizione da chiarire: quale romanticismo? Quello di Chopin e Schumann, non certo quello di Liszt e Wagner. Il sistema tonale che traspare dalla musica di Alessandro Longo è semplice e sobrio, e rifugge volutamente le insidie e gli equivoci tonali del cromatismo e dell'enarmonia di Liszt e di Wagner, che avevano condotto quasi naturalmente la musica verso la concezione dodecafonica di Schònberg. La forma che Longo predilige, è quella classica, mozartiana. Le sue composizioni raramente si distaccano dai modelli dettati dal classicismo, ed in alcuni casi sembra che volutamente il Maestro abbia rinunciato ad approfondire possibilità di nuove speculazioni. In realtà, la linea melodica delle sue opere è sempre molto nobile ed interessante, e ci distrae dal tessuto ritmico-armonico, che è ben saldamente ancorato su schemi classici. La sensazione che si prova ascoltando la musica di Alessandro Longo è quella di trovarci di fronte un compositore che ha le sue radici nell'Ottocento, ma che è immune dai problemi estetici di rivoluzione di forma e di contenuto che caratterizzarono il secolo XIX.. Dappertutto traspare una nobiltà espressiva che ci rilassa e ci fa sorridere, che ci racconta storie delicate e momenti di tenerezza; insomma, è una musica che serve direttamente a liberare lo spirito dal peso che quotidianamente esso affronta e a fatica trascina con sè: se si potesse accettare un paragone metastorico, la musica di Alessandro Longo ci parla con la lingua leggendaria dei poemi di Ludovico Ariosto, che, nella loro smagliante astrazione, ci descrivono in negativo i tormenti del tempo e della politica di allora. E qui giungiamo al punto centrale di un'opera che sembra fuori dal tempo e che invece è frutto del tempo. Longo visse i due conflitti mondiali, e, a Napoli fu testimone degli orrori della seconda guerra che distrussero e insanguinarono la città del Golfo. E' impensabile che ciò non abbia avuto nessun riscontro nella sua opera, e non abbia prodotto alcuna riflessione nel coltissimo artista. Longo risponde con un messaggio pieno di vita, di ottimismo, di serenità, all'orrore. il suo non è un messaggio nostalgico del passato olimpico che poteva essere costituito dal romanticismo, come troviamo invece in alcuni degli autori a lui contemporanei, vedi Sgambati e Martucci. E' invece il tentativo di servirsi dell'arte per costituire una piattaforma salda sulla quale ritrovare ideali, bellezza e, perché no, forza per vivere. Per intendere meglio ciò che voglio dire, per un attimo avvicinerò due composizioni di altri autori all'opera di Longo: due composizioni che Longo non avrebbe mai scritto, e cioè le famose "Pagine di Guerra" di Alfredo Casella e la Ballata di Frank Martin, la prima per pianoforte a quattromani, la seconda per flauto e pianoforte. Casella ha una visione della guerra catastrofica; la sua composizione è un susseguirsi di immagini violente, di morte, e questa immaginazione diventa angosciosa, quando, alla fine del pezzo, tra le croci di legno di un cimitero dell'Alsazia sentiamo echeggiare di lontano la Marsigliese. Come dire: Libertà, Uguaglianza, Fratellanza dove non c'è più vita, dove rimangono solo le croci di un camposanto. Un pessimismo lacerante, almeno pari a quello della Ballata di Martin, in cui il flauto termina con degli arpeggi vorticosi, disperati: composta nel 1939, essa si può definire un presagio dell'olocausto che si sarebbe abbattuto sul mondo. Quegli arpeggi sono le urla dell'umanità di fronte ad un destino ineluttabile. Le sei piccole Suites di Longo per pianoforte a quattromani, e la Suite per flauto e pianoforte, vengono da un altro modo di vedere, sentire ed "usare" l'arte. Si potrebbero definire, con una nota polemica che Alessandro Longo non merita, musica "da salotto", musica "da intrattenimento", musica che distrae, insomma. Ma è cosi solo in parte: la vena melodica che ci colpisce e ci sorprende nasce e sgorga da un cuore sensibile come pochi. E finalmente, quando ci imbattiamo negli stupendi movimenti "adagio" delle Sonate, non abbiamo più dubbi: lì troviamo una malinconia che non riesce a rimanere solo suono, e che tocca dentro di noi le corde della commozione. Nel Romanticismo, solo Chopin e Schumann sono capaci di darci le stesse emozioni. Il manierismo che si può allora imputare alla musica del Maestro calabrese, si trasforma in un messaggio di speranza: l'Arte, Dio lo voglia, resiste a tutto. L'odio e la rabbia degli esseri umani sono definitivamente ad essa estranei. Beninteso: il salotto che accoglie la musica di Alessandro Longo non è il salotto dei Notturni e delle Polacche di Martucci, anche se il modello, Chopin, è uguale. Ma mentre per Martucci l'arte si eleva ad una idea di perfezione formale, e per essa si ricorre ad artifici che talvolta rovinano la spontaneità e la semplicità, in Longo ciò non avviene mai, a discapito della "perfezione formale", se è necessario. La straordinaria spontaneità melodica, tratto fondamentale della sua originalità pianistica, è per un salotto dove incontriamo artisti, ma anche ottimi allievi pianisti (Longo ebbe un vero e proprio amore per i suoi discepoli); e dove, in fin dei conti, tutti possono essere ammessi, ed ascoltare i suoni di un messaggio che giunge diritto al cuore di tutta l'umanità.
Alessandro Longo nel ricordo della figlia Miriam
Ritornare con l'animo, prima che con la memoria, alla figura del proprio padre, suscita una folla di ricordi e di immagini familiari che la lontananza non attenua o offusca, ma illumina di luce nuova. Quando venni al mondo, la vita di mio padre era, come del resto quella di tutti gli italiani, turbata e resa difficile dalle dolorose vicende della prima guerra mondiale che in mio padre, Alessandro Longo, si venivano ad aggiungere a profondi dolori familiari. Si può immaginare lo strazio di un uomo che vede morire suo figlio, un bambino di quattro anni, affetto da morbillo ribelle preso all'asilo. Infatti, mi è stato detto che egli per due anni non suonò mai, tranne che per motivi didattici. Questa era la sua condizione spirituale quando, nel 1918, nacqui io che riuscii, forse, a riportare un pò di luce nella sua vita, ma anche trepidazione. La sua preoccupazione maggiore era quella di tenere lontano da me anche l'ombra di un pericolo. Era questa, certamente, la ragione che lo indusse a non farmi frequentare la scuola e ad affidarmi ad una sua sorella, maestra elementare, perché mi desse i primi rudimenti di istruzione. Ma le premure così affettuose si risolvevano in un peso per me che avrei desiderato fare una vita normale, in compagnia di altri bambini. Questo comportamento, che ora forse posso anche comprendere, allora, nel mio inconscio, era sentito come una limitazione. Però, quale dolce ricordo, oggi, risentire la sua mano nella mia per far scivolare una monetina d'argento di cinque lire che doveva servire per comprare, quando uscivo, i miei cioccolatini preferiti: le "nespole" di Gay-Odin. Con questo gesto egli trovava il modo di farmi quasi toccare tutto il calore del suo affetto. Mio padre era così apprensivo nei miei riguardi che bastava il semplice manifestarsi di una malattia a metterlo in agitazione e a far sì che subito chiamasse il pediatra che allora non si consultava frequentemente. E ricordo che, prima dell'arrivo del medico, mi mostrava con gioia la banconota di cinquanta lire che per lui, in quel momento, era quasi il "simbolo" della mia guarigione. Non diversa era la sua premura, una volta diventata adolescente, nell'assecondare i miei interessi culturali: per il mio quattordicesimo compleanno mi regalò la "Storia dell'Arte" di Springer-Ricci, in cinque volumi, pubblicazione che all'epoca era molto stimata e di pregevole veste editoriale. La mia passione e versatilità per la musica si manifestarono molto presto e a ciò contribuì certamente il fatto che crescevo in un ambiente in cui si sentiva musica continuamente. Mio padre era esigente con me come lo era con i suoi allievi e m'incitava all'esercizio quotidiano sulla tastiera. Non si limitava, però, a darmi solo dei consigli astratti, ma spesso mi ascoltava con l'evidente intenzione di cogliere i progressi che man mano facevo. E così, la sera, dopo il suo lavoro quotidiano, si sedeva in poltrona, e ascoltava me che eseguivo sul Bechstein a coda i brani già prima studiati, infatti suonavo sempre a memoria. Questo metodo faceva parte di una sua convinzione e cioè che nella cultura, come nella vita, si può essere anche autodidatti. Egli mi precisava, però, con molta cura la diteggiatura di alcuni pezzi, specialmente di Bach e su questo punto spesso ci scontravamo, perché egli mi preparava man mano le pagine da studiare, ma io le imparavo prima del tempo da lui previsto e allora lo assillavo con ostinazione, affinché portasse a termine il lavoro più velocemente. Ricordo con gioia i preparativi che si facevano in casa quando si doveva partire per i miei concerti in Italia e all'estero. Mio padre mi accompagnava sempre insieme ad una delle mie sorelle. Ricordo, ad esempio, che durante il viaggio in Egitto, nel 1928, dove dovevo dare pacchi concerti, fui colpita da una tosse ostinata e violenta. Si pensò subito ad un raffreddamento e così mio padre, malgrado a il Cairo la temperatura fosse di trenta gradi all'ombra, mi comprava cappotti e colli di pelliccia. In realtà si trattava di una pertosse, per cui, prima che finisse, passarono vari mesi. Molti sono stati i concerti che ho dato nella mia giovinezza, ma posso dire che mio padre mal approfittò di queste occasioni per inserire nei miei programmi le sue composizioni. Solo dopo la sua morte, avvenuta nel 1945, mi sono avvicinata ad alcune sue opere pianistiche e da camera, eseguendole spesso anche in concerto. La severità di padre rimaneva sempre confinata solo nello sguardo e nelle parole, mentre la tenerezza per me si manifestava nel modo più congeniale a lui, cioè con la musica. Avevo cinque anni quando egli compose per me due piccoli pezzi "Gavottina della Bambola" e "Cucù" che ebbero un enorme successo anche editoriale, forse proprio perché scritti per le mie piccole mani e per le mie possibilità tecniche. Come ho già detto, mio padre, dopo la morte del piccolo "Guiduccio" ebbe una stasi nella sua vena compositiva. Pare che la prima cosa che compose dopo questo periodo sia stato un breve pezzo che egli intitolò 'Pensiero elegiaco" che è pervaso da struggente malinconia ed è scritto in tono minore: tutti elementi insoliti nella sua creatività. Quindi, possiamo dire che dopo il 1915 egli non scrisse più opere di rilievo strutturale: si dedicò piuttosto alla sua rivista "L'Arte Pianistica", a molte revisioni e alla didattica. Siamo ormai al dopoguerra e la musica si avviava a percorrere in modo inarrestabile, un profondo cambiamento. Le nuove tendenze europee erano tali da non poter essere accettate da lui, così tenacemente radicato alla tradizione. D'altra parte egli, per i suoi tempi, fu quasi un innovatore, in quanto sostenne autori come Wagner e Brahms e ne diffuse in tutti i modi la conoscenza; sia quando era alunno al Conservatorio che dopo, come insegnante: nella sua classe venivano costantemente suonate le opere di Wagner. Io stessa ricordo delle bellissime esecuzioni del Lohengrin, de la Walkiria e del Tristano e Isotta che fecero sviluppare anche in me un grande amore per questa musica. Cosi come non posso dimenticare il culto che egli aveva per gli autori romantici, primo fra tutti Schumann. Naturalmente anche la tradizione musicale italiana ebbe un peso notevole sulla sua personalità e questo viene documentato dal suo impegno per ritrovare i manoscritti ancora sconosciuti delle sonate di Domenico Scarlatti, di cui curò un'edizione integrale, edita da Ricordi. Gli ultimi anni della sua vita furono allietati dalla nascita dei miei figli che per lui furono i primi nipoti. Così io, malgrado fossi l'ultima nata, ho avuto il piacere di renderlo nonno, cosa che gli procurò molta gioia.