Apparsa nel 1927, la «Sonata per flauto e pianoforte», a causa di varie vicissitudini, è scomparsa, per lungo tempo. Riemerge da un oblio che tocca forse il mezzo secolo, la «Sonata per flauto e pianoforte» di Mario Pilati (1903-1938). Di fatto sconosciuta, con rarissime deroghe, ad almeno due generazioni di flautisti, tale «Sonata» era praticamente scomparsa dalla circolazione editoriale e concertistica fin dall'ultimo dopoguerra. Da quando, cioè, la bomba che durante gli eventi bellici colpi Casa Ricordi produsse, tra gli altri danni la perdita di gran parte dell'archivio di musica contemporanea, e comunque degli originali, delle matrici e dei materiali delle varie opere che il nostro compositore aveva in catalogo presso l'editrice milanese.
Scomparso prematuramente l'autore già prima del conflitto mondiale, esauritasi l'edizione stampata negli Anni Venti, questa «Sonata per flauto e pianoforte» era di molto tempo irreperibile anche presso la Biblioteca del Conservatorio di San Pietro a Majella (dove peraltro risultava catalogata), istituto nel quale Pilati aveva terminato la sua breve carriera d'insegnante. Inghiottita nel nulla, insomma. E si deve all'appassionata ricerca delle figlie del compositore se, di recente, è stato possibile rintracciare dapprima una stesura autografa, sia pure non interamente sviluppata, e successivamente, grazie a una fortunata coincidenza, la copia manoscritta completa di proprietà della Biblioteca, che attualmente, dopo qualche decennio di 'prestito temporaneo', dovrebbe esserle stata restituita dal suo distratto, quanto per verità onestissimo possessore.
Nato a Napoli nel 1903, a vent'anni Mario Pilati si diploma in composizione presso il Conservatorio di San Pietro a Majella, sotto la guida di Antonio Savasta, valoroso didatta che tra l'altro sarà direttore del Conservatorio di Palermo dal 1926 al 1938. Subito dopo, Pilati intraprende l'insegnamento di composizione e di storia della musica nel Civico Liceo Musicale di Cagliari, che tiene fino al 1926.
Nello stesso anno si trasferisce a Milano, dove lo attira l'invito di Casa Ricordi, su segnalazione di Pizzetti, a una collaborazione che si esprime soprattutto nella riduzione, per canto e pianoforte, di partiture contemporanee. Privatamente continua l'insegnamento, ed esercita varia attività come direttore d'orchestra, collaboratore a giornali e periodici musicali e letterari.
Vinto il concorso per la cattedra di armonia e contrappunto, torna nella città natale nel 1930, partendone sul finire del 1933 per insegnare composizione nel Conservatorio di Palermo. È appena rientrato a Napoli, nel 1938, quale titolare della cattedra di contrappunto, fuga e composizione, quando la morte lo coglie stroncando una carriera ormai già consolidata.
Contemporaneamente al diploma, aveva infatti avviato una fervida attività creativa, che, via via accolta da crescente considerazione, nell'arco di pochi anni - e in particolare negli Anni Trenta - lo aveva condotto alla dimensione di un successo che lo vedeva come uno dei più eseguiti tra i giovani compositori italiani. Tanto che al momento della morte - cosi repentinamente prodotta da un male inesorabile - nella vita concertistica, e nella leva dei suoi coetanei, Pilati si va imponendo come l'alter ego del giovane Petrassi sul côté della tonalità.
Dapprincipio, in linea cori l'indirizzo prevalente nella musica italiana del primo Novecento, Pilati rivolge particolare attenzione al genere vocale. E già nel periodo dei diploma (1922-23) esordisce con alcuni madrigali a cinque-sei voci, seguiti poco dopo da un salmo per doppio coro. Prove presumibilmente ancora scolastiche, quanto solide e consapevoli, visti i contributi successivi. Orientamenti che appaiono sensibili a una diffusa corrente di gusto dell'epoca, sospinta tra l'altro da alcuni esponenti della Generazione dell'Ottanta e dintorni. Corrente di gusto che, dissodando le radici dell'antica musica italiana e recuperandone il magistero, in generale produce, lungo un significativo arco cronologico, notevoli contributi sia vocali sia strumentali.
Il genere vocale continuerà anche in seguito a stimolare la feconda ispirazione di Pilati, tanto nel ricalco di forme antiche come il madrigale, quanto sul terreno dell'oratorio («Il battesimo di Cristo», 1927) o su quello, diversissimo, della canzone popolaresca, alla quale il musicista offre pagine colorite e incisive come gli «Echi di Napoli», 1933, assai piacevoli per il «sentimento pittoresco che promana dal loro napoletanismo di tinta antica» (Gianandrea Gavazzeni). Ma il culmine di tale vocazione sarà il progetto, interrotto dalla morte prematura, di un'opera lirica in dialetto napoletano arcaico, «Piedigrotta», della quale il musicista farà in tempo a completare, anche nell'orchestrazione, il solo primo atto.
Ma è sul versante strumentale che Mario Pilati esprimerà i suoi frutti più significativi, e nella dimensione cameristica (un quartetto, un quintetto con pianoforte, varie sonate e altro) e in quella orchestrale. In quest'ultima primeggiano musiche come la «Suite per pianoforte e archi» (1925), le «Bagatelle», il «Preludio, aria e tarantella» dapprima concepito per violino e pianoforte, fino a quel «Concerto per pianoforte» che esordirà pochi mesi prima della scomparsa dell'autore, nel settembre 1938, alla rassegna veneziana di musica contemporanea, sotto la bacchetta di Dimitri Mitropoulos. D'altra parte, i grandi direttori d'orchestra non erano mancati alle musiche di Mario Pilati, che all'estero era stato già eseguito da Koussevitsky e da Weingartner. Un albo di trofei, come si vede, più che rispettabile per un artista che si spegne a soli trentacinque anni.
Molto importante è il versante dell'attività didattica. «Pilati ha una cultura musicale vastissima, una altrettanto ampia cultura storica e letteraria, e una mente versatile che gli consente le più disparate connessioni tra questi campi disciplinari, di norma separati da impenetrabili barriere nel curriculum educativo sia del musicista, sia del letterato italiano. Il suo insegnamento non ha nulla dell'artigianato tradizionale, ma mira a formare nell'allievo una consapevolezza storica, facendogli via via ripercorrere l'itinerario evolutivo della musica occidentale, dal gregoriano ai polifonisti del Due e dei Trecento, dai fiamminghi ai madrigalisti italiani del Cinquecento, dai monodisti alla grande stagione del melodramma settecentesco, e così via fino alle prime esperienze rivoluzionarie, che tra Otto e Novecento cominciano a minare le fondamenta della tonalità.» (Renato di Benedetto).
Alla sua apparizione, nel 1926, questa «Sonata per flauto e pianoforte» subito consegue un riconoscimento di alto prestigio internazionale: il Premio Coolidge, bandito per quell'anno dall'associazione napoletana «Alessandro Scarlatti». Tale premio era intitolato alla sua fondatrice e mecenatessa, Elisabeth Sprague Coolidge (1864-1953). Immediatamente assunta in catalogo da Casa Ricordi, accanto ad altri lavori successivi di Pilati, la nostra «Sonata» troverà, pochi anni dopo, due interpreti del tutto eccezionali: Marcel Moyse e Alfredo Casella. Questi grandi musicisti nel novembre 1931 la eseguono a Roma, presso l'Accademia Americana, e subito dopo a Napoli - per la «Scarlatti» e la «Società del Quartetto» - in occasione di un Festival Coolidge allestito in onore e alla presenza di quella benemerita protettrice delle arti.